Il solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno , cade il 21 giugno.
É interessante notare come siamo tradizionalmente abituati a festeggiare il solstizio d’inverno e la rinascita del Sole (o di Gesù bambino come vuole la tradizione cattolica, quindi il natale), meno invece il 21 giugno. Eppure è indubbia l’importanza che rivestiva questo periodo e questa data nelle antiche religioni, trasmutata poi nella festa di San Giovanni della religione cristiana.
Nella fiaba sarda che abbiamo rappresentato innanzitutto spicca il nome della protagonista; Selena. Il nome deriva dal greco e significa Luna. Ed ecco che troviamo già nel nome l’altro aspetto del giorno, che è la notte. Selena adora il sole, lo aspetta fin dalle prime ore del mattino. E quando lo vede gli da il benvenuto, lo saluta con una formula arcana.
Assaporando questa storia entriamo in un contesto dove la nascita del sole non è affatto scontata: il rivedere la luce che torna dopo un viaggio misterioso, ci fa rinascere, come dopo una notte di sogni riapriamo li occhi per risentirci vivi e pronti. Soffriamo le mattine quando al nostro risveglio la luce del sole manca.
La ragazza saluta il sole, gli comunica la sua devozione, e lo interroga sulla presenza della rugiada del mattino: impossibile non notare la corrispondenza con la rugiada “miracolosa” del mattino solstiziale, e della sua declinazione nella “guazza” fiorita di san Giovanni.
( ” Beni bennidu su sole, azzudami in custa die, tanno ass’a biere a mie chi t’adoro notte e die. Custa cossa non mi dolet, bene bennidu su sole!” Benvenuto o sole, aiutami in questo giorno,allora vedrai me che ti adoro notte e giorno, questa cosa non mi pesa, benvenuto o sole.
Poi,la sera,quando il sole stava per scomparire all’orizzonte,lo salutava: “Bae in bon’ora su sole,bae e torratinne crassa. Itte risposta mi dassa? A nne ghettar de lentore?Bae in bon’ora su sole!”. Vai in buon’ora o sole, vai e torna domani, che risposta mi dai? Porterai la rugiada? Vai in buon’ora o sole!)
La contemplazione del sole per lei è necessaria: si tratta di un vero e proprio culto, ma alla lunga diventa accecante. I pastori nelle vicinanze si accorgono di lei, della sua cecità, la curano con l’acqua della fonte che sanava tutte le malattie (un sicuro rimando al culto della acque dei meravigliosi pozzi sacri di Sardegna).
Una volta guarita Selena parte alla ricerca di Moisé secondo le indicazioni della madre defunta. Per farlo attraversa il mare a bordo di un tronco dalle foglie argentate (forse un ulivo?) e giunge in un paese alle soglie della guerra. Anche questo viaggio è ricco di rimandi simbolici e stratificazioni dense di significato, ma ciò che ora ci interessa sottolineare è il finale:
Moisé le dice di rinunciare al culto solare, e la fanciulla dapprima rifiuta. “Pensaci bene” le suggerisce il vecchio e lei alla fine “cede” . Ma lo fa senza abbracciare fino in fondo la fede impostale: si fa costruire una tomba per celare agli occhi del sole il suo “tradimento”. E da li non uscirà più.
Questo atto estremo è rappresentativo del passaggio dalla vecchia alla nuova religione: per sopravvivere nella nuova società era necessario adeguarsi, ma nelle radici profonde, nel buio, la lealtà del cuore era ancora con la natura e i suoi cicli sacri.
E anche se il finale del racconto sembra amaro, ci lasciamo con l’augurio di ritornare ad aspettare il sole insieme a Selena fuori dalla grotta.
Ed ecco la fiaba raccontata da noi! 👉


